Bufera nel pd

Cofferati ha acceso la miccia

Le dimissioni di Sergio Cofferati, avvenute in punta di piedi, senza fondare un altro partito o iscriversi in un altro, ma tenendosi il seggio di europarlamentare, sono tese allo sfascio del pd. Tutto ha origine dalle primarie dove il vecchio gruppo dirigente del partito si rompe regolarmente la testa. Pare incredibile ma le primarie portano ai seggi non solo elettori che non hanno la tessera in tasca, ma magari anche elettori del centrodestra, e persino immigrati extracomunitari, quelli che pure la sinistra voleva far votare, ma non alle primarie per carità, che possono essere pagati. Perché sicuramente i buoni compagni genovesi avrebbero preferito Cofferati, ma fascisti infiltrati e immigrati corrotti, hanno votato il suo rivale. Cosa le fanno a fare le primarie allora nel Pd? Si limitassero ad un referendum fra i quadri del partito se non si vogliono le sgradevoli sorprese proprie dagli strumenti demoniaci in vigore nella democrazia statunitense. Messi alle strette in direzione, dal gruppo parlamentare è stata espressa la sorda volontà di non votare l’Italicum. L’onorevole Gator ha assunto i panni del vendicatore solitario, ma tutta la polemica è incentrata sul voto di preferenza, in realtà l’aspetto minore di una legge elettorale che con il doppio turno ed il maxi premio di maggioranza rischierebbe di essere nuovamente bocciata dalla Consulta, oltre a porre qualche problema di rappresentatività e concorso popolare, che non interessa. Ma l’abolizione delle preferenze è pur sempre stata regolata da un referendum ritenuto costituzionalmente compatibile con il nostro ordinamento. La verità è che il fronte del dissenso interno, non contesta veramente la nuova legge elettorale, piuttosto non riesce e non intende accettare l’accordo con Berlusconi, accordo che prevede anche l’elezione del Capo dello Stato. Bersani a proposito è stato quanto mai esplicito: non vorremmo un nome del capo dello Stato che piaccia alla destra che Renzi pretendesse di far votare alla sinistra. Se la minoranza interna poteva ancora accettare a malincuore un’intesa sulle riforme con il Cavaliere, l’idea di un presidente della Repubblica gradito a Berlusconi, magari capace di graziarlo dalle sue malefatte, risulta impossibile da digerire. Questa la ragione dello strappo annunciato. Che poi questa posizione sarà mantenuta fino alla fine, ovvero anche dopo l’elezione del Capo dello Stato, è un’altra questione, in quanto il rischio vero è di far cadere il governo e interrompere traumaticamente la legislatura. A quel punto il Pd sarebbe costretto ad assumersi la responsabilità degli eventi, Renzi sbalzato di sella, si accanirebbe sulla minoranza interna e quella potrebbe giusto rientrare in Parlamento con un altro partito che forse potrebbe anche valere l’8 per cento, ma che non raccoglierebbe, sempre bene che le vada, nemmeno il 4.

Roma, 20 gennaio 2015